venerdì 8 gennaio 2010

Intervista a Paolo Ferrero segretario nazionale di Rifondazione Comunista

Liberazione, 31 dicembre 2009

"UN FRONTE UNITO DELLE OPPOSIZIONI PER SALVARE LA COSTITUZIONE"


Nonostante Berlusconi e il suo governo abbiano fatto di tutto per minimizzarla, per gli italiani è la parola “crisi” che rappresenta il 2009. Sarà così anche il 2010?

Quest’anno è stato sicuramente caratterizzato dalla crisi. Che è una vera e propria crisi di sistema: una crisi del capitalismo, tutt’altro che finita. La situazione finanziaria è lungi dall’essere stabilizzata, come dimostra la vicenda recente del Dubai. Sul piano della produzione non si ravvisa nessuna ripresa significativa; né non si capisce dove e come potrebbe realizzarsi, dal momento che la prima ragione della crisi, cioè l’estrema disparità dei redditi è stata accentuata dalla crisi stessa. E dal punto di vista occupazionale la crisi è appena cominciata: il 2010 sarà l’anno in cui precipita. Il 2009 è stato un anno di svolta. Fino al 2008 si era declamata la globalizzazione. Nel 2009, invece, vent’anni dopo il crollo del socialismo reale, c’è stato il crollo del capitalismo globalizzato, che era stato rilanciato proprio dalla fine di quella vicenda. Altro che fine della storia di cui parlava Fukuyama 20 anni fa.

Anche perché per effetto della crisi c’è stata anche una ripresa dei conflitti sociali…

Una ripresa che vede ampliare le lotte sia quantitativamente che qualitativamente. C’è il classico conflitto per la difesa del posto di lavoro, ma c’è anche la crescita dei conflitti degli studenti e delle professioni legate ai saperi sociali. E poi c’è stata la manifestazione del 5 dicembre. Che non va archiviata troppo in fretta e segnala l’emergere di una nuova generazione di intellettualità precaria che pone in termini molto radicali la questione dell’alternativa.

Il maggior partito di opposizione, il Pd, è stato piuttosto freddo e diffidente rispetto al 5 dicembre. Come valuti l’indirizzo adottato con l’elezione di Bersani alla segreteria?

Mi sembra che si possa dire che il 2009 sia stato l’anno della verifica dell’insipienza e della crisi strategica del Pd. La vittoria di Bersani alle primarie sembrava aver risolto la difficoltà, ma invece le vicende più recenti dimostrano che i problemi rimangono enormi. Dopo che la manifestazione del 5 dicembre aveva chiesto un’opposizione netta e limpida all’indirizzo di Berlusconi e delle riforme ad personam, dopo che le mobilitazioni dei lavoratori hanno invocato un cambio di indirizzo radicale nella politica economica, il Pd non trova di meglio che proporre l’inciucio per fare le riforme.

Con quali esiti possibili?

O il Pd beve, approvando quindi una riforma indecente insieme alla destra berlusconiana. Oppure a un certo punto rompe perché la proposta è indigeribile. Ma a quel punto avranno costruito tutti gli argomenti sulla centralità delle riforme, in modo da consentire a Berlusconi di andare avanti anche da solo. Perché se ripeti allo spasimo che il tema delle riforme è centrale, anche nel momento in cui si producesse una rottura, a quel punto il governo sarebbe legittimato a andare avanti da solo in nome dell’interesse della nazione. Quindi si tratta di una vera follia. E’ un atteggiamento che comunque rafforzerà Berlusconi e dividerà l’opposizione, creando solo pasticci.

A proposito di unità dell’opposizione, la ricerca di un dialogo unitario con il Pd è stata una delle scommesse principali di Sinistra e Libertà. Tuttavia anche le vicende più recenti e il caso Puglia dimostrano la difficoltà di rapportarsi al Pd…

Secondo me in quest’anno si è potuto constatare anche il fallimento del progetto di Sinistra e libertà. E’ nata in nome del dialogo col Pd e dell’internità strategica al centrosinistra, ma la vicenda pugliese dimostra come con questo Pd si è considerati subalterni oppure si è di ostacolo. Questo dimostra come la scissione da cui è nata Sl per un verso sia stata dannosa, in quanto ha fatto venir meno il quorum alle europee, e per l’altro si sia realizzata su un indirizzo politico privo di fondamento. Mi pare evidente, infatti, che il problema sia quello di costruire un’alternativa alla linea di questo centrosinistra.

In quest’ottica consideri che il Prc abbia fatto passa avanti significativi?

Il 2009 è stato sicuramente segnato in positivo dal progetto di Federazione della sinistra, per provare a dare una risposta da sinistra alla crisi. Quindi un processo di aggregazione chiaramente e strategicamente alternativo a quello del Pd e al bipolarismo, che si ponga il problema di unire tutte le forze disponibili sul terreno dell’alternativa.

Con quale futuro per Rifondazione? E quale il bilancio del 2009?

Rifondazione rimane per l’oggi e per il domani. Quanto al bilancio, in primo luogo abbiamo fatto fronte alla scissione e lavorato a rilanciare un progetto politico non di resistenza né di testimonianza: un progetto politico che abbiamo individuato nella centralità del lavoro sociale, che in quest’anno ha fatto passi avanti e deve avere come obiettivo la costruzione di un fronte che sia in grado di allargare e politicizzare il conflitto sociale collegando le diverse lotte. In secondo luogo ci siamo resi protagonisti di un processo di aggregazione a sinistra, senza velleità di autosufficienza e settarismo, con l’obiettivo di realizzare un polo politico alternativo e non subalterno alla linea del Pd. Lavoro sociale e aggregazione a sinistra si devono poi saldare con la capacità di agire con forza contro la manipolazione della Costituzione e contro l’uscita a destra dalla crisi della seconda repubblica, che è la vera questione in discussione oggi. Contro l’idea di Berlusconi che cambia la Costituzione da solo e contro quella dell’accordo tra Pd e Pdl, noi proponiamo un’altra strada: un fronte unito delle opposizioni, che si ponga l’obiettivo di sconfiggere Berlusconi e di uscire in positivo dalla crisi della seconda repubblica con il superamento del bipolarismo e la costruzione di una legge elettorale proporzionale.

Da una parte la Federazione strategicamente alternativa al Pd, dall’altra un fronte democratico delle opposizioni: non sono due obiettivi in contraddizione tra loro?

Assolutamente no. Lavoro sociale, aggregazione a sinistra, proposta sul versante della democrazia: questo indirizzo su tre direttrici prende atto che non c’è un fronte politico che sia in grado di fare insieme la battaglia sia sul piano sociale che su quello della democrazia. Quindi dobbiamo essere in grado di articolare la proposta, in modo che abbia interlocutori a geometria variabile. Non possiamo sacrificare la battaglia sociale in nome di un frontismo democratico, come non possiamo rimuovere la questione democratica in nome della battaglia sociale. Sapendo che gli interlocutori sono differenti. E che, per esempio, la battaglia referendaria contro la legge 30 non è solo contro Berlusconi ma contro Confindustria e alcune delle stesse forze a cui proponiamo il fronte per la democrazia. Ma non è contraddittoria la nostra linea, è complicata la realtà: perciò occorre una linea complessa, non minoritaria, in grado di avanzare su ogni punto.

Con quali auspici per il 2010?

In primo luogo allargare il lavoro contro la crisi e politicizzare il conflitto sociale: solidificare un tessuto di lotte che vada al di là di quella per il singolo posto di lavoro. In secondo luogo riuscire a costruire un progetto di uscita dal capitalismo in crisi. Un progetto che abbia una sua forma e una sua comunicabilità. E che necessita di gambe; perciò dev’essere anche l’anno della costruzione della Federazione della sinistra. Fino adesso la nostra discussione, anche dentro il Prc, ha riguardato il tenere aperta un’ipotesi di trasformazione dentro la globalizzazione neoliberista. Oggi il problema è costruire un’alternativa alla crisi capitalistica, che tende a manifestarsi come crisi di civiltà. Dopo 20 anni di devastazioni culturali ci troviamo infatti in una situazione in cui la crisi del capitale si presenta come crisi di civiltà e i soggetti che la subiscono non danno automaticamente una risposta in termini di conflitto di classe, ma che si impasta con ideologie reazionari e razziste. La costruzione di un progetto vuol dire in primo luogo costruire un quadro analitico convincente di quel che accade e in secondo luogo prospettare una strada con molta nettezza.

Quale strada?

Riallargare i confini su cui si esercita la democrazia. Perché oggi le scelte democratiche si esercitano unicamente su terreni che hanno poco a che vedere con la vita delle persone. Invece bisogna fare in modo che le scelte economiche siano determinate dal volere dei popoli, allargando l’esercizio della democrazia. Questo significa porre innanzitutto il tema dell’intervento pubblico in economia, che non vuol dire riproporre lo statalismo, ma un intervento pubblico strettamente intrecciato al controllo dal basso e a una democrazia partecipata. Un intervento che non sia finalizzato allo sviluppo senza aggettivi, ma a una riconversione ambientale e sociale dell’economia, che quindi faccia i conti fino in fondo con i limiti delle risorse e con la necessaria costruzione di un tessuto sociale non disgregato. Che è anche un fattore di sicurezza. Questo di fronte a destra che usa la disgregazione sociale per far crescere un populismo autoritario e reazionario.

E per le prossime regionali la strada dove conduce?

Proponiamo che le regioni rispondano alla crisi per quanto compete loro: attraverso la qualificazione dell’intervento in economia, la lotta alle delocalizzazioni e la difesa del lavoro e dei diritti sociali. Questo a partire da un personale politico che sul piano morale sia inappuntabile. Su questa base proponiamo a tutte le forze della sinistra di alternativa la costruzione di liste unitarie della sinistra di alternativa alle regionali, in modo da realizzare una massa critica sufficiente a pesare. Per questo sosteniamo Vendola in Puglia e chiediamo a Sinistra e libertà di fare una battaglia comune contro coalizioni che si qualificano per l’anticomunismo come vorrebbe fare Penati in Lombardia.

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