lunedì 22 febbraio 2010

No offshore

LIVORNO NON È UNA PATTUMIERA!


 La vergognosa sentenza del Consiglio di Stato in merito al ricorso della OLT contro la decisione del TAR Toscana che aveva di fatto bloccato lavori di costruzione del Rigassificatore Offshore di Livorno, ha tolto ogni dubbio sul ruolo politico e di parte di questo organismo giurisdizionale dello stato.
Un anno fa, in tutta fretta e con procedura d' urgenza, aveva sospeso la sentenza del TAR che bloccava i lavori della OLT.

Ora con motivazioni false e pretestuose, ha rinnegato tale decisione aprendo ai poteri forti legati alla Regione Toscana la possibilità non solo di distruggere l' ambiente marino al largo di Livorno ma di realizzare il primo pericolosissimo e mai sperimentato RIGASSIFICATORE OFFSHORE GALLEGGIANTE al mondo.

  • Dopo l' inquietante possibilità della realizzazione di un secondo rigassificatore a Rosignano

  • Dopo il progetto di raddoppiare l'inceneritore del Picchianti e la proposta di realizzare nell'area della raffineria ENI un inceneritore per rifiuti industriali

  • Dopo la spartizione del territorio toscano per favorire il percorso del metanodotto GALSI

  • Dopo la decisione della realizzazione a Livorno di ben due centrali altamente nocive a biomasse a base di OLIO DI PALMA proveniente da paesi poveri e coltivate su terreni espropriati alle coltivazioni alimentari

  • Dopo la paventata proposta della realizzazione di una centrale nucleare


La giornata del 20 Marzo deve diventare la data di avvio della VERTENZA AMBIENTE LIVORNO, una serie di iniziative di lotta sulle tematiche ambientali, del territorio, a difesa della salute.


LA LOTTA già organizzata contro lo sviluppo dell'uso degli inceneritori e delle centrali tossiche a biomasse deve diventare un coordinamento permanente di resistenza contro lo scempio del territorio livornese e toscano.

I poteri forti legati alle politiche dei partiti non si preoccupano minimamente dei rischi per la salute delle popolazioni ma sono sempre di più alla ricerca dei grandi profitti per pochi a danno di tutti.


Fermiamoli! SALVIAMO LIVORNO !


20 marzo 2010 grande manifestazione cittadina

Aggiornamenti per orario e percorso prossimamente su:

www.offshorenograzie.it info@offshorenograzie.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo


Comitato contro il Rigassificatore Offshore di Livorno

mercoledì 17 febbraio 2010

Problema Padula: Soldi perduti, diritti negati

Iniziativa davanti al Comune oggi pomeriggio, dei compagni e delle compagne del Circolo "Che Guevara" Salviano insieme ad alcuni cittadini.
Sono stati distribuiti alla cittadinanza e a tutti i consiglieri comunali, volantini in cui si denuncia il clamoroso errore compiuto dall'amministrazione comunale e da Casalp, che non hanno presentato in tempo debito la relativa documentazione necessaria per ottenere i fondi anticipati dalla regione per la costruzione di 25 abitazioni alla Padula (per una spesa di 3.288.016 €).
I compagni inoltre hanno esposto il loro striscione "Soldi perduti, diritti negati", all'interno della sala consigliare.
Di seguito si riporta il contenuto del volantino distribuito.



VIA DELLA PADULA: PERSI OLTRE 3.5 MILIONI DI EURO!

RITARDATO DI ANNI IL RECUPERO!

E LA GENTE CONTINUA AD ASPETTARE!!! VERGOGNA!

CHI HA SBAGLIATO DEVE PAGARE!!!!


Il Governo Prodi in data 1 ottobre 2007 aveva ricompreso nel Piano Straordinario Nazionale per l'edilizia residenziale (art. 21 del D.L. 159/2007) due interventi proposti dal Comune di Livorno: la ristrutturazione di 5 alloggi sugli Scali del Refugio (300 mila euro) e lavori di adeguamento di 25 alloggi ERP in via della Padula (3.288.016 Euro).

Con la caduta di Prodi, ci si è trovati di fronte al drastico taglio del governo Berlusconi delle risorse messe a disposizione per finanziare detti progetti. A quel punto, molto opportunamente, la Regione Toscana, con delibera 17 del 22 gennaio 2009 ha raccolto la proposta dei rappresentanti di PRC e PDCI (Federazione della Sinistra) decidendo di anticipare comunque le risorse a copertura di questi interventi.

Ma a questo punto avviene l'imprevisto colpo di scena: il Comune di Livorno e Casalp non hanno adempiuto agli obblighi previsti dalla Regione per poter accedere a detti finanziamenti, non facendo pervenire agli uffici regionali la necessaria documentazione.

Hanno così perso in modo irrecuperabile importanti risorse pubbliche pari ad oltre 3,5 milioni di euro che avrebbe rappresentato una piccola boccata di ossigeno per la critica situazione abitativa livornese e risolto una situazione di grave degrado come quella di Via della Padula.

Evidentemente, siamo di fronte o a gravi incapacità da parte di chi gestisce, o qualcuno non ha digerito il cambiamento delle decisioni precedentemente assunte per quel complesso, in un recente passato, già destinato all'abbattimento.

In un caso o nell'altro chi ha le responsabilità di quanto accaduto deve risponderne pubblicamente, di fronte agli abitanti di Via della Padula, di fronte a chi è sottoposto a procedura di sfratto, di fronte a chi aspetta un alloggio pubblico!

Quanto accaduto è una vergogna che non può cadere nel silenzio!
La Federazione della Sinistra, di cui fanno parte PRC e PDCI, opererà con determinazione ed insistenza affinché si faccia chiarezza e si possa finalmente portare a compimento un progetto tanto atteso in città.

FEDERAZIONE DELLA SINISTRA-PRC-PDCI

Regionali 2010

Non è importante solo cosa fai ma come lo fai...per fortuna qualcuno ancora crede di poter cambiare questo mondo marcio... Non è certo un simbolo grafico a decidere una direzione politica, ma i contenuti e le persone che li portano avanti.
Per cui compagni/e lottiamo insieme per un mondo migliore, non arrendiamoci, le battaglie vanno sempre combattute.


SI RACCOLGONO LE FIRME PER PRESENTARE LA LISTA PROVINCIALE DELLA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA - VERDI: Tutti i giorni feriali (orario d'ufficio) in Borgo Cappuccini 278 - Sede Federazione livornese PRC e PDCI e presso i circoli territoriali!

Vi aspettiamo!!!

giovedì 11 febbraio 2010

Articolo di Liberazione su “Dentista Rosso”

La scommessa: cure “da sanità privata” a prezzi “da sanità pubblica”
Dentista sociale? Si può fare
Ma solo con tecniche d’avanguardia

Frida Nacinovich
nostra inviata – Montecatini Terme La cena sociale è ormai una felice abitudine, il centro sociale resiste, anche nei nostri cuori. Invece l’odontoiatra sociale suona strano. Chi può ridare o togliere il sorriso fa pagare e strapagare questa sua abilità. Ci vuole la cessione del quinto dello stipendio e tanto coraggio per affrontare la poltrona e il camice bianco più temuti del paese. Assodato che invece l’odontoiatra sociale non è una categoria dello spirito (esiste, è vivo e lotta insieme a noi) andiamo a conoscerlo. Un misto di ansia e di curiosità: mica vorrà sottoporre la cronista ad un saggio delle sue – peraltro indubitabili- doti professionali? L’appuntamento è direttamente nello studio del medico chirurgo Vincenzo Ortolani. Un’elegante palazzina stile liberty nel cuore della Toscana. Siamo a Montecatini, celebre centro termale, sufficientemente ricco e piuttosto ridente, pronto per essere ritratto in cartolina. «Buongiorno, desidera…». «Avrei un appuntamento con il professor Ortolani per un’intervista». «Per un’intervista…». Meglio ripetere a scanso di equivoci. L’ambiente è luminoso, pulito, lussuoso, di qualità. Il dottor Ortolani sta lavorando, finisce la seduta, si mette a nostra disposizione mentre un altro paziente attende il suo turno in sala di aspetto. La prima domanda è quasi obbligata: «Perché ha deciso di fare l’odontoiatra sociale?». «Follia? Sindrome del buon samaritano? Generosità?». «No, no, siete

Montecatini Terme, l’esperienza pilota del dottor Vincenzo Ortolani
n e 1 l’associazione “Diritti e società”

fuori strada – scuote la testa il professore – in realtà abbiamo vinto una scommessa». «Una scommessa?». «Proprio così: riuscire a fornire tutte le prestazioni odontoiatriche e protesiche reperibili sul mercato della sanità privata agli stessi costi della sanità pubblica. Come riferimento è stato scelto il listino prezzi fornito dall’ospedale Galliera di Genova». L’esperimento inizia in agosto, il paziente “numero zero” è Massimo Fiorentini, che fra le tante è il tesoriere toscano di Rifondazione comunista. E che diventerà uno dei migliori testimonial del dentista sociale Ortolani. C’è da credergli, a giudicare dal sorriso e dalla delicatezza dell’argomento. Perché tarsi trapanare i denti non è una cosa facile, nessuno si fida del primo dentista che incontra. Ma continuiamo ad ascoltare Ortolani. «In questi mesi ogni paziente è stato visitato a titolo gratuito e – nel corso di questo primo contatto – è stato definito un programma terapeutico che il malato ha potuto discutere e concordare con il personale medico». «Ci sta dicendo che i primi 60/80 euro che si pagano inevitabilmente come si mette piede nello studio dentistico sono stati abbonati?». «Certo. In più offriamo una seduta d’igiene gratuita, eventualmente accompagnata da terapie di urgenza la cui necessità si fosse palesata nell’ambito della prima visita». Andiamo avanti: «Le terapie eseguite – spiega ancora Ortolani – rispecchiano assolutamente i più aggiornati dettami di odontostomatologia: sono stati eseguiti impianti endossei, corone estetiche in ceramica senza metallo, terapia conservativa estetica, protesi totali…». Altra domanda d’obbligo: dottore, ma qual è il segreto del suo successo? «Ho investito sulla mia professionalità, utilizzando le più moderne tecniche computerizzate ed ottenendo un forte risparmio di tempo (un solo appuntamento al posto dei 5/6 normalmente necessari) con un notevole miglioramento della qualità estetica ed una sicura biocompatibilità dei manufatti. Non si può pensare di lavorare come negli anni ottanta». Nella sala d’attesa dell’odontoiatra sociale c’è un’atmosfera tutta particolare: none facile potersi sedere da un dentista sapendo che alla fine si pagherà il giusto. E non è neanche piacevole dover contrattare il proprio sorriso, con un’anima divisa a metà fra l’onestà non solo intellettuale (la richiesta della fattura) e il portafoglio che piange («mi raccomando dottore, mi faccia lo sconto»). Ortolani conferma. «La riduzione del peso della con-trattualizzazione economica – si fa riferimento al listino prezzi di una struttura pubblica – ha consentito di migliorare la qualità del rapporto medico-paziente. Devo dirle che tutto questo mi ha dato entusiasmo». Perché chi bussa alla porta della on-lus “Diritti e società” sono anche e soprattutto donne e uomini che non potrebbero permettersi di avere i denti a posto: lavoratori con stipendi bassi, precari, pensionati, padri e madri di famiglia che devono pensare alla salute dei loro bambini. Persone che mai e poi mai potrebbero pagare decine di migliaia di euro per avere la bocca in ordine. Usciamo dallo studio dentistico convinti di aver fatto una bella scoperta. L’odontoiatra sociale esiste, non è un personaggio di Alan Ford e non lavora in uno scantinato con una strumentazione più da metalmeccanico che da chirurgo. Chi pensava che non si andasse oltre i Gap (i gruppi di acquisto popolare che peraltro stanno andando a gonfie vele), si sbagliava. Regaliamoci un sorriso.

Articolo tratto da "Liberazione"

martedì 9 febbraio 2010

FERRERO ( FEDERAZ SINISTRA/PRC ): FIAT, MONTEZEMOLO COME PINOCCHIO, AZIENDA ORMAI HA LO STATO COME SOCIO DI MAGGIORANZA

Roma, 5 febbraio 2010.

Comunicato stampa.

Dichiarazione di Paolo Ferrero, portavoce nazionale della Federazione della Sinistra.

FERRERO (FEDERAZ SINISTRA): FIAT, MONTEZEMOLO COME PINOCCHIO, AZIENDA ORMAI HA LO STATO COME SOCIO DI MAGGIORANZA. SE NON RECEDE, LA SI NAZIONALIZZI.

Montezemolo, quando dice che la Fiat con lui alla guida non ha mai ricevuto un euro dallo Stato, è come Pinocchio. Il fatto è che le bugie hanno le gambe corte. Sono cinquant'anni che la Fiat riceve finanziamenti, in via diretta e indiretta, da parte dello Stato e fa ottimi affari con essi, scaricando sulle spalle dello Stato i destini e i posti di lavoro dei suoi dipendenti. Anzi, visto che con la montagna di soldi versati in tutti questi decenni dallo Stato alla Fiat, è lo Stato italiano che può rivendicare a buon diritto di essere il suo socio di maggioranza. Di fronte allo scenario che propone Fiat (chiusura di Termini Imerese e cassa integrazione per tutti i lavoratori del gruppo), l'unica strada che rimane aperta, se la Fiat non recede dai suoi propositi, è la nazionalizzazione dell'azienda, visto che la prima cosa di cui deve occuparsi lo Stato, di fatto azionista di maggioranza, è la salvaguardia dei lavoratori e degli stabilimenti.


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Ufficio stampa Prc-SE

Le foibe tra mito e realtà. intervista ad Alessandra Kersevan

Viste le molte imprecisioni e le ricostruzioni false e tendenziose (nonché clamorosamente errate dal punto di vista storico) che circolano in questi giorni sulla controversa questione delle foibe anche sulla stampa locale, riproponiamo un'intervista realizzata due anni fa da Alessandro Doranti alla storica Alessandra Kersevan e pubblicata sul periodico locale Trentagiorni. Un'intervista che torna prepotentemente d'attualità.

Non è mai stato semplice trattare la questione delle foibe: stereotipi consolidati, revisionismo, metodologie di lavoro inesatte e giochi politici dei vari schieramenti hanno sempre invaso il terreno della ricerca storica. In questi ultimi anni è stata ottenuta la costruzione di una verità ufficiale, fin troppo sbrigativa e di comodo, che ha dato il via a commemorazioni, monumenti, lapidi, intitolazioni di strade.
Alessandra Kersevan, ex insegnante ed oggi paziente ricercatrice di storia e cultura della sua regione, il Friuli, da anni lavora al recupero della memoria storica in merito agli avvenimenti del confine orientale.

A Trieste la storia non comincia il 1° maggio 1945…
Sì, Sembra un'osservazione banale, eppure di fronte a tante cose che sono state scritte in questi anni sulle vicende del confine orientale occorre chiarire e ricordare che il fascismo in questa regione è stato più violento che in qualsiasi altra parte d'Italia: sloveni e croati, oltre cinquecentomila persone che abitavano le terre annesse dallo stato italiano dopo la prima guerra mondiale furono oggetto di persecuzioni razziali e ogni tipo di angherie: divieto di usare la loro lingua, chiusura delle scuole, delle associazioni ed enti economici sloveni e croati, arresto degli oppositori, esecuzioni di condanne a morte decise dal Tribunale Speciale. Con l'aggressione nazifascista alla Jugoslavia, nel 1941, la nostra regione divenne avamposto della guerra e le persecuzioni contro sloveni e croati, anche cittadini italiani, divennero ancora più gravi: interi paesi furono deportati nei campi di concentramento come Arbe/Rab, oggi in Croazia, ma allora annessa all'Italia dopo l'aggressione alla Jugoslavia, Gonars in provincia di Udine, Renicci di Anghiari in provincia di Arezzo, Chiesanuova di Padova, Monigo di Treviso, Fraschette di Alatri in provincia di Frosinone, Colfiorito in Umbria, Cairo Montenotte in provincia di Savona e decine e decine di altri, praticamente in tutte le regioni d'Italia. Fra 7 e 11 mila persone, donne, uomini, bambini, intere famiglie, morirono in questi campi, di fame e malattie. A Trieste nel 1942 fu istituito per la repressione della resistenza partigiana l'Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia, che si macchiò di efferati delitti contro gli antifascisti in genere, ma soprattutto contro sloveni e croati.

Da chi è stato inaugurato l'uso delle foibe?
Ci sono testimonianze autorevoli (per esempio dell'ispettore di polizia De Giorgi, colui che nel dopoguerra fu incaricato dei recuperi dalle foibe) che furono proprio uomini dell'Ispettorato speciale, in particolare quelli della squadra politica, la cosiddetta banda Collotti, a gettare negli "anfratti del Carso" degli arrestati che morivano sotto tortura. Comunque andando anche più indietro nel tempo, già durante la prima guerra mondiale, che fu combattuta soprattutto in queste terre, le foibe venivano usate come luogo di sepoltura "veloce" dopo le sanguinose battaglie, e nell'immediato dopoguerra i fascisti pubblicavano testi di canzoncine in cui si minacciava di buttare nelle foibe chi si ostinava a non parlare "di Dante la favella".

Che funzione aveva la Banda Colotti?
La banda Collotti era la squadra politica dell'Ispettorato speciale guidata appunto dal commissario Gaetano Collotti. Con la sua squadra batteva il Carso triestino per reprimere la resistenza che già nel '42 era iniziata in queste zone. Si macchiarono di efferati delitti, torturando e uccidendo centinaia di persone. Come Resistenzastorica stiamo pubblicando con la casa editrice Kappa Vu la ricerca di Claudia Cernigoi sulla banda Collotti. Nel corso di alcuni anni di ricerche Cernigoi è riuscita a trovare una quantità consistente di documentazione. Eppure in questo dopoguerra nessuno, neppure gli istituti storici di Trieste e di Udine, avevano pubblicato nulla sull'argomento.

Definiamo le foibe. Chi ci è finito dentro? Donne? Bambini? Quanti in tutto? Perché c'è così grande attenzioni su queste esecuzioni, mentre in altre zone ce ne furono in numero assai maggiore?
Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del '43, e con l'occupatore tedesco per quanto riguarda il '45. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolari, vendette personali, che non possono essere attribuiti al movimento di liberazione. Questo diventa evidente quando si vanno ad analizzare i documenti, cosa che purtroppo la gran parte degli "storici" in questi anni non ha fatto, accontentandosi di riprendere i temi e le argomentazioni della propaganda neofascista. Va detto inoltre che i numeri non sono assolutamente quelli della propaganda di questi anni: è ormai assodato che in Istria nel '43 le persone uccise nel corso della insurrezione successiva all'8 settembre sono fra le 250 e le 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti; nel '45 le persone scomparse, sono meno di cinquecento a Trieste e meno di mille a Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti di malattia in campo di concentramento in Jugoslavia. Uso il termine "scomparsi", ma purtroppo è invalso l'uso di definire infoibati tutti i morti per mano partigiana. In realtà nel '45 le persone "infoibate" furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali. C'è poi l'episodio della foiba Plutone, da cui furono estratti 18 corpi, in cui gli "infoibatori" erano appartenenti alla Decima Mas e criminali comuni infiltrati fra i partigiani, e furono arrestati e processati dagli stessi jugoslavi. Insomma se si va ad analizzare la documentazione esistente si vede che si tratta di una casistica varia che non può corrispondere ad un progetto di "pulizia etnica" da parte degli jugoslavi come si è detto molto spesso in questi anni.
La grande attenzione a questi fatti è funzionale alla criminalizzazione della resistenza jugoslava che fu la più grande resistenza europea. Di riflesso si criminalizza tutta la resistenza, e si è aperto il varco per criminalizzare anche quella italiana, come sta dimostrando ora Pansa con i suoi libri.

Gli studiosi delle foibe. Chi sono?
Sono di svariati generi. Quelli che noi chiamiamo un po' ironicamente i "foibologi" sono tutti esponenti della destra più estrema, alcuni, come Luigi Papo hanno fatto addirittura parte della milizia fascista in Istria, di coloro cioè che collaborarono con i nazisti nella repressione della resistenza. Altri, più giovani, come Marco Pirina, sono stati esponenti di organizzazioni neofasciste negli anni della strategia della tensione (lui per esempio risulta coinvolto nel golpe Borghese). Poi c'è il filone degli storici che facevano riferimento al CLN triestino (organizzazione non collegata con il CLNAI) che fu il massimo organizzatore dell'"operazione foibe" a Trieste nel dopoguerra. Mentre può essere abbastanza facile capire le manipolazioni della "storiografia" fascista, è molto più difficile difendersi dalle manipolazioni della storiografia ciellenista, perché questi hanno un'aura di antifascismo che fa prendere per buone tutte le cose che scrivono. In realtà leggendo i loro libri ti accorgi che sono citazioni di citazioni da altri libri (spesso memorie di fascisti) non sottoposte a verifica. Il problema è che su tutta questa questione delle foibe ha pesato nel dopoguerra il clima della guerra fredda: voglio ricordare che un importantissimo documento di fonte alleata agli inizi del '46 diceva: sospendiamo, non avendo trovato nulla di interessante, le ricerche nel pozzo della miniera di Basovizza, ma perché gli Jugoslavi non possano dire che è stata tutta propaganda contro di loro, diremo che lo abbiamo fatto per mancanza di mezzi tecnici adeguati. Ha pesato e pesa inoltre molto la questione dei confini, e il sentimento delle "terre ingiustamente perdute", che anche se con toni un po' diversi, coinvolge anche gli storici che fanno riferimento politicamente al centro sinistra. Ci sono però anche tantissimi storici seri. Per "seri" intendo quelli che non si accontentano di quello che è già stato scritto, ma che cercano nuova documentazione, la analizzano, la confrontano con quanto è già stato pubblicato e inseriscono gli avvenimenti nel contesto in cui sono avvenuti. Questo è il metodo storiografico che tutti dovrebbero usare, ma, sembrerà incredibile, nella questione della foibe e dell'esodo anche storici accademici e "blasonati" si sono lasciati andare a metodi da propagandisti più che da storici, preferendo le citazioni di citazioni di citazioni, piuttosto che la fatica della ricerca.

La foiba di Basovizza. C'è una lapide che commemora le vittime, eppure la storia sembra molto diversa…
La documentazione esistente, una documentazione piuttosto corposa, dice che nella miniera di Basovizza non ci furono infoibamenti. Già nell'estate del '45, quindi pochissimo tempo dopo i pretesi infoibamenti, gli angloamericani procedettero per mesi a ricognizioni nel pozzo della miniera (infatti non si tratta di una foiba in senso geologico), in seguito alle denunce del CLN triestino che diceva che dovevano essere stati infoibati alcune centinaia di agenti della questura di Trieste. Poiché non fu trovato nulla di "interessante", nei primi mesi del '46 le ricerche furono sospese, come ho già spiegato prima. Tutto questo risulta da una gran quantità di documenti di fonte alleata, negli archivi di Washington e di Londra. Quindi nella "foiba" non ci sono i "500 metri cubi" di infoibati che sono scritti nella lapide, e neppure i duemila infoibati citati in libri. Dopo che Claudia Cernigoi ha riportato questi documenti nel suo libro "Operazione foibe a Trieste" la cosa dovrebbe essere evidente a tutti che si occupano dell'argomento. Ma si fa finta di niente. Il comune di Trieste adesso ha ristrutturato il monumento sulla foiba e presto verrà il presidente del Senato Marini a inaugurarlo. La menzogna vive ormai di vita propria, e non si riesce a fermarla.

Le leggende sulle foibe.
Ho già spiegato che le biografie della gran parte degli uccisi sono di persone coinvolte a vario titolo nel regime fascista prima e nell'occupazione nazista poi. Come ben mette in luce Claudia Cernigoi nel suo libro, in una città come Trieste il collaborazionismo interessò tantissime categorie di persone, e molti di quelli che vengono definiti "civili" erano in realtà e collaborazionisti, delatori di professione, spioni di quartiere che denunciavano gli ebrei. Per esempio ai rastrellamenti sul Carso con la banda Collotti partecipavano anche persone che non erano ufficialmente appartenenti alla questura. Come gruppo di Resistenzastorica abbiamo condotto una ricerca sulla vicenda di Graziano Udovisi, conosciuto come "l'unico ad essere uscito vivo dalla foiba" e presentato come una vittima "solo perché italiano". Da questa ricerca è emerso, oltre alla assoluta falsità del suo racconto, che egli dal '43 al '45 era stato tenente della Milizia Difesa Territoriale, in un gruppo dal nome significativo di "Mazza di Ferro", specificamente preposto alla repressione della guerriglia, e che nel '46 fu condannato per crimini di guerra a 2 anni e 11 mesi di reclusione. Eppure nel 2005 Graziano Udovisi è diventato "uomo dell'anno", premiato con l'Oscar della Rai per una sua intervista a Minoli, che lo ha presentato come uno che è stato "infoibato" "solo perché italiano. Come ho già detto: storici, giornalisti e tutti coloro che scrivono di queste cose in questi anni di Giornate del Ricordo, dovrebbero sapere che intorno a queste vicende c'è tanta propaganda, e che quindi bisogna informarsi bene prima di scrivere.

L'atteggiamento della destra e della sinistra.
Non si vede una grande differenza. La destra fascista ha trovato in questo argomento la possibilità di ribaltare il discorso delle responsabilità nella seconda guerra mondiale, passando da carnefici a vittime, con la possibile riabilitazione dei repubblichini di Salò ecc. La sinistra ha trovato l'occasione per prendere le distanze dal proprio passato partigiano, con tutta una serie di distinguo e di "ammissioni" in cui le foibe erano funzionali in quanto venivano attribuite a partigiani, sì, ma "slavi" (e si sa che il razzismo antislavo è molto diffuso) e quindi la resistenza italiana poteva restarne fuori. La miopia di una simile posizione la si vede oggi, con un'operazione come quella di Giampaolo Pansa, che attacca direttamente la resistenza italiana.
C'è da dire, inoltre, che l'"operazione foibe" è funzionale alla politica estera italiana, tradizionalmente "espansionistica" verso la penisola balcanica. Anche in questo senso, centrodestra e centrosinistra non si distinguono. Noi di Resistenzastorica abbiamo una raccolta impressionante di dichiarazioni di esponenti del centro sinistra in senso neoirredentista, cioè tese alla rivendicazione delle "terre perdute", tema che oltre ad essere stato sempre tipico della destra, sembrerebbe oggi anche antistorico, nel momento dell'allargamento dell'UE. Eppure le dichiarazioni ci sono, anche di personaggi come Fassino.

Che cosa significa oggi commemorare i morti delle foibe?
Come ho spiegato, commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c'è il 2 di novembre.

Che cosa andrebbe fatto per restituire dignità alla memoria storica del paese?
Per quanto riguarda la dignità del paese, credo che l'unica cosa da fare sia smettere quella convinzione nazionale che gli italiani siano sempre stati "brava gente", che dovunque sono andati hanno portato la civiltà, anche quando bruciavano i villaggi della Croazia, o impiccavano i ribelli libici. Gli italiani debbono rendersi conto che la repubblica italiana non ha mai fatto veramente i conti con le responsabilità del fascismo. Dietro al discorso delle foibe c'è proprio l'interesse di continuare a nascondere queste responsabilità. Infatti la proposta italiana di incontro trilaterale fra i presidenti di Italia, Slovenia, Croazia, sui luoghi della memoria, inserendo la Risiera di San Sabba, il campo di concentramento di Gonars (o quello di Arbe) e la foiba di Basovizza, non è altro che un tentativo di gettare fumo negli occhi, di far dimenticare i crimini di guerra italiani in quei territori equiparando la foiba di Basovizza alla Risiera, unico campo di concentramento nazista con forno crematorio, in cui morirono oltre 3000 persone, soprattutto partigiani italiani, sloveni e croati, o ai campi di concentramento in cui morirono almeno settemila sloveni, croati, serbi, montenegrini. Il presidente della Repubblica dovrebbe andare di propria iniziativa ad Arbe in Croazia, o a Gonars a rendere omaggio alle vittime del fascismo, e a chiedere scusa agli ex jugoslavi. Questo dovrebbe essere la prima cosa da fare. Poi dovrebbe far pubblicare i risultati della commissione storica italo-slovena, che il governo italiano si era impegnato a pubblicare ma non ha mai fatto. Poi il governo di centro sinistra potrebbe obbligare la RAi a trasmettere in prima serata il documentario "Fascist legacy / L'eredità fascista", sui crimini di guerra italiani in Etiopia, Libia e Jugoslavia. Questo documentario della BBC fu acquistato nell'89 dalla RAI, ma mai trasmesso.

Fonte: SenzaSoste

lunedì 1 febbraio 2010

Succede a Milano

La "voglia matta" del centro-destra, di intitolare piazze o vie a personaggi di dubbia moralità politica (a Livorno è all'ordine del giorno o quasi) ha raggiunto il picco il 25 gennaio, con la presentazione di una richiesta di intitolazione di una via a Giorgio Almirante, esponente di spicco e uno dei fondatori del MSI.
Di seguito la lettera dell'ANPI milanese, che chiede indignata che tale richiesta venga rifiutata e nemmeno presa in considerazione.

"A.N.P.I. (ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA)
Coordinamento zona 6. Milano.

“Ente morale”, D.L. n.224 del 5 aprile 1945”


Milano, 31 gennaio ’10

Cortese attenzione Presidente e consiglieri tutti
Comune di Milano, Circoscrizione zona 6.

A seguito mozione, presentata in data 25/01/2010 presso la soprascritta Istituzione, “Una strada intitolata a Giorgio Almirante”; il Coordinamento delle sezioni ANPI di zona, e l’assemblea tutta sezione ANPI Barona, riunita in data odierna per i lavori congressuali annuali, esprime rammarico e preoccupazione per simile proposta avanzata proprio nella stretta vicinanza della giornata della Memoria, ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano.
Pensiamo che tale proposta sia da non prendere in considerazione, come molte città e paesi d’Italia hanno già fatto.
Ricordiamo che Almirante fu firmatario nel 1938 del Manifesto della razza, e che dal 1938 al 1942 collaborò alla rivista La difesa della razza come segretario di redazione. Ricordiamo che Almirante con il ruolo di tenente della brigata nera si impegnò nella lotta ai partigiani in particolare in Val d'Ossola e nel Grossetano; qui, il 10 aprile 1944, apparve un manifesto da lui firmato, in cui si decretava la pena della fucilazione per tutti i partigiani (definiti "sbandati", all'interno del manifesto) che non avessero deposto le armi e non si fossero prontamente arresi, suscitando feroci repressioni compiute dai fascisti in quelle zone; a titolo di esempio basti ricordare che nella sola frazione di Niccioleta, a Massa Marittima, tra il 13 ed il 14 giugno 1944 vennero passati per le armi 83 minatori.
Chiediamo dunque il ritiro della mozione o la non approvazione.
Comunichiamo inoltre che questa nostra richiesta, chiederà immediatamente sostegno ed adesione a tutti i partiti politici, le associazioni, i movimenti, i sindacati della zona e di Milano, portando a conoscenza di tale mozione la Comunità Ebraica e l’ANED Milanese.
Certi di un vostro pronto riscontro in merito.
Porgiamo distinti saluti."

Il coordinatore ANPI zona 6
Ivano Tajetti

Il presidente Assemblea ANPI Barona
Massimo Camerini

Sinistra da unire o tutti con il Pd o tutti fuori.

Questa è la versione integrale dell’articolo uscito oggi sul Il Manifesto a cura di Stefano Cristiano, segretario PRC Toscana e Coordinatore Federazione della Sinistra.

"Il PRC e la Federazione della Sinistra sono impegnati in percorso complesso e per nulla scontato: proporre un terreno unitario a sinistra, all’interno del quale ricostruire un soggetto politico comunista non residuale, a partire dal presupposto che oggi, a maggior ragione di fronte alla crisi, sia illusorio e pericoloso pensare di poter “temperare” gli effetti nefasti del capitalismo, senza invece ricostruire quanto meno l’idea di un suo superamento, a favore di un sistema più equo socialmente e ambientalmente compatibile. Questo progetto necessita di tempi certamente non brevi poiché si pone l’obiettivo non tanto e non solo di giustapporre spezzoni di sinistra, bensì di contribuire a ricostruirne l’identità valutando che la nostra sconfitta non è solo figlia di divisioni, ma di un’egemonia politico culturale di destra che dal dopo 89’ sembra ormai inarrestabile. Il passaggio elettorale non è per noi il terreno su cui misurare la correttezza strategica di questa impostazione, bensì un difficile ostacolo che dobbiamo superare per proseguire, con relativa serenità, il nostro cammino.

Per queste ragioni abbiamo deciso di proporre al candidato Rossi non tanto 300 pagine di programma, raccontando la “balla”, come facemmo con Prodi, che il nostro obiettivo è “trascinare a sinistra il PD”! Abbiamo invece individuato alcuni nodi programmatici che rendano visibile al nostro popolo il perché di un accordo o i motivi della rottura. Se dovessi individuare il filo rosso della nostra proposta lo riassumerei con l’idea che per superare la crisi è necessario riaffermare un rinnovato ruolo pubblico nelle scelte economiche, politiche e sociali della regione. Il mercato da solo crea ingiustizie ed iniquità, e solo chi opera nel pubblico interesse può svolgere un ruolo di programmazione, indirizzo e controllo In questa direzione vanno le nostre proposte sul lavoro: (favorire l’insediamento di imprese che garantiscano lavoro a tempo indeterminato e investano su produzioni ad alto contenuto tecnologico e fonti energetiche rinnovabili, garantire il rispetto dei contratti da parte delle cooperative che lavorano per la pubblica amministrazione, penalizzare le aziende che delocalizzano, colpire speculazioni e favorire forme di autorganizzazione dei lavoratori); sui servizi pubblici (ripubblicizzare le scelte e salvaguardare un bene fondamentale come l’acqua, sperimentare impianti a freddo per il trattamento dei rifiuti per raggiungere il 60% di differenziata, sviluppare il trasporto pubblico per i pendolari, contenere le tariffe); su scuola ed università (potenziare ed estendere le strutture pubbliche in un settore decisivo quale la formazione). Infine ci ergiamo a strenui difensori delle buone cose fatte negli scorsi anni (dal no ai CIE, al fondo per la non autosufficienza, dagli ammortizzatori sociali al sistema sanitario pubblico), per garantire le quali proponiamo, in caso di tagli dello stato, che si possa intervenire anche sulla leva fiscale sui redditi più alti. Se le condizioni politiche ci saranno, saremo felici di proseguire questa esperienza di governo in Regione Toscana, se tali condizioni non ci saranno, ci collocheremo all’opposizione. In questo senso attendiamo serenamente che il candidato Rossi convochi un incontro, sapendo che per noi il 5 Febbraio rappresenta l’ultimo giorno utile dopo di ché la nostra scelta sarà comunque fatta. Ebbene io credo che saremo tanto più forti nella misura in cui tutta la sinistra sarà capace di presentarsi unita al tavolo delle trattative, condividendo contenuti e proposte programmatiche e arrivando anche, se ve ne saranno le condizioni, a presentarsi unita alle elezioni, senza pasticci in salsa arcobaleno, ma nel rispetto di identità e traiettorie politiche diverse e attraverso un chiaro accordo politico basato su solidi “paletti programmatici”. Per questo motivo propongo di incontrarci martedì pomeriggio presso la nostra sede per costruire un’ipotesi politico-programmatica comune. Per raggiungere tale obiettivo però abbiamo bisogno di tre condizioni: 1) che non ci siano veti incrociati. A quel tavolo ci sediamo tutti insieme, Verdi, SEL Federazione della Sinistra, Laburisti e chiunque, a sinistra del PD, sia interessato ad un confronto non subalterno col Centro Sinistra. 2) Che al primo punto si discuta del merito, dei nodi programmatici da proporre unitariamente al candidato Rossi. 3) Che ci sia la disponibilità, a quel tavolo, a portare fino alle estreme conseguenze il percorso unitario, ovvero che si decide di stare insieme in coalizione, se ve ne sono le condizioni, oppure si decide insieme di starne fuori se quelle condizioni non ci sono. Solo trasmetteremo al nostro popolo un messaggio politico serio, eviteremo che gli appelli unitari vengano percepiti come il disperato tentativo di qualche cespuglio di superare il 4% per garantirsi seggi in Consiglio Regionale."





Stefano Cristiano

Segretario PRC Toscana
Coordinatore Federazione
della Sinistra

Giù le mani dalla rete

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