lunedì 27 dicembre 2010

27 dicembre 2008 - A Gaza il cielo si oscurò Secondo anniversario dell'operazione "piombo fuso"

Articolo tratto da: www.senzasoste.it

Gli aerei israeliani colpirono per tutto il giorno la Striscia. Era l'inizio di «Piombo fuso» che dopo tre settimane avrebbe lasciato sul terreno 1.400 palestinesi morti, tra i quali centinaia di donne e bambini. Oggi a Roma la commemorazione delle vittime.

Gerusalemme, 27 dicembre 2010- Apparvero in cielo all'improvviso intorno alle 11.30, le decine di cacciabombardieri israeliani che il 27 dicembre di due anni fa colpirono massicciamente e in più punti la Striscia di Gaza facendo strage in particolare di agenti di polizia riuniti per una cerimonia ufficiale. Ma era solo l'inizio di «Piombo fuso», il nome con il quale è nota l'offensiva israeliana contro Gaza, che in tre settimane avrebbe ucciso oltre 1.400 palestinesi e ferito almeno altri 5mila, in buona parte civili (gli israeliani uccisi furono 13, quasi tutti militari caduti in combattimento o per fuoco amico). Senza dimenticare le molte migliaia di abitazioni distrutte o danneggiate gravemente. Immensi i danni alle infrastrutture civili.
Raduni e commemorazioni per le vittime palestinesi di « Piombo fuso» sono previsti oggi in molte città del mondo, anche a Roma. Stasera alle ore 18, si terra' una manifestazione con candele e fiaccole in Piazza S. Marco e sulle scale del Campidoglio, che proseguirà in Piazza Navona, dove è stato allestito uno stand della Mezzaluna rossa palestinese. Nelle stesse ore dovrebbe fare ingresso a Gaza la «Carovana dell'Asia» con beni di prima necessità. La carovana era partita da Nuova Delhi in India lo scorso 2 dicembre e ha attraversato Pakistan, Iran, Turchia, Siria, Libano, Giordania ed Egitto.

Nel primo giorno di «Piombo fuso» i morti palestinesi furono stimati tra i 200 e i 300: il giorno con più caduti nei 60 anni di conflitto israelo-palestinese. I feriti furono 700. Tra gli obiettivi colpiti nelle prime fasi degli attacchi gli edifici della pubblica amministrazione e delle forze dell'ordine dipendenti dal governo di Hamas (che dal 2007 controlla Gaza), obiettivo ufficiale dell'offensiva lanciata dal governo israeliano. Tra gli obiettivi colpiti c'è una caserma di polizia in cui stava avvenendo la cerimonia di diploma per i nuovi ufficiali, nel cui bombardamento sono morte circa 40 persone tra cui il comandante della polizia di Gaza, Tawfiq Jaber (alla fine del conflitto saranno 230 i morti tra i membri delle forze dell'ordine dipendenti dal governo di Hamas). Il secondo giorno viene colpita anche anche l'università islamica di Gaza. I palestinesi rispondono con lanci di razzi che causano una vittima e diversi feriti tra gli israeliani.
Nell'arco di tempo che va dal 31 dicembre 2008 al 2 gennaio 2009, i raid di Israele uccidono diverse figure di rilievo di Hamas, tra cui Nizar Rayyan. Il 3 gennaio comincia anche l'attacco di terra, con il sistema sanitario di Gaza al collasso e con 250.000 abitanti senza elettricità e l'acqua corrente limitata. Il 6 gennaio 2009, un raid israeliano colpisce una scuola dell'Unrwa (Onu) adibita a rifugio per civili, facendo 40 morti. Pochi giorni dopo verrà colpito il quartier generale dell'Unrwa mentre si diffondono voci sull'utilizzo da parte di Israele di proiettili con fosforo bianco, confermate dall'indagine svolta dal giudice internazionale Richard Goldstone.

Nella serata del 17 gennaio il gabinetto di sicurezza dello Stato di Israele annuncia un «cessate il fuoco» unilaterale, precisando di aver realizzato e superato gli obiettivi prefissati dell'Operazione Piombo fuso. Cesseranno dunque i bombardamenti, i colpi di artiglieria e le incursioni, ma l'esercito di occupazione non abbandonerà l'area finché verranno lanciati ordigni. Hamas inizialmente non riconosce questa tregua, in quanto nessuna delle sue proposte (tregua di un anno, con possibilità di rinnovo, qualora Israele abbandoni la Striscia entro 5-7 giorni e ponga fine al blocco della Striscia di Gaza) è stata presa in considerazione. Dopo ventidue giorni, oltre 1.400 (tra i quali 410 bambini) vengono uccisi, i feriti invece sono 5.300. Da parte israeliana si calcolano invece 13 vittime, di cui tre civili e quasi 200 i feriti. Ma «Piombo fuso» in realtà non è mai finita. Prosegue il duro assedio israeliano (ed egiziano) di Gaza e nove attivisti turchi sono stati uccisi lo scorso 31 maggio da commando israeliani lanciati all'attacco delle navi della Freedom Flotilla diretta a Gaza con aiuti umanitari. Rimangono inascoltate le raccomandazioni contenute nel rapporto preparato dal giudice Goldstone, ora giudicato un «nemico» dalle autorità israeliane.

Nena News
Vedi anche: 27 dec 2010 - An Open Letter from Gaza

Accordo Mirafiori, la Fiom incalza la Cgil: "Svolta fascista, serve lo sciopero generale"

Cremaschi, presidente del Comitato centrale del sindacato metalmeccanico, invita la Camusso alla mobilitazione e a non sperare nell'aiuto di Confindustria: "Non lo fecero neppure nel 1925". Bersani: "Portare il caso in Parlamento, e la rappresentanza va riformata, non disarticolata"

ROMA - Dopo l'accordo separato su Mirafiori e quella che in un'intervista a Repubblica 1 la leader della Cgil Susanna Camusso chiama la "svolta autoritaria" della Fiat, l'unica risposta possibile è lo sciopero generale. E' questa la posizione di Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom.

Il 29 dicembre, ricorda Cremaschi, si terrà un comitato "straordinario" in cui verranno prese delle decisioni. "E' vero che l'accordo di Mirafiori è storico - dice Cremaschi - ha un solo precedente: il 2 ottobre 1925 quando Mussolini, la Confindustria e i sindacati fascisti e nazionalisti sottoscrissero l'abolizione delle commissioni interne. Oggi Marchionne Cisl e Uil aboliscono in Fiat e Mirafiori le Rsu e le elezioni democratiche. E' un atto di un autoritarismo senza precedenti nella storia della Repubblica: nemmeno negli anni '50 si tolse ai lavoratori Fiat il diritto a votare per le loro rappresentanze. Per Cisl e Uil è una vergogna assoluta".

Alla Cgil e a Susanna Camusso Cremaschi dice: "Deve finirla di illudersi che la Confindustria isoli la Fiat: non è successo nel 1925 e non succederà oggi, quindi l'unica risposta alla svolta autoritaria è lo sciopero generale". Lo scorso 22 dicembre, incontrando una delegazione del movimento studentesco romano, la segretaria della Cgil, rispondendo alla richiesta di uno sciopero generale da convocare anche a sostegno della protesta contro i tagli all'istruzione, aveva però precisato che "i tempi non sono maturi".

tratto da www.repubblica.it

PS: Personalmente, mi piacerebbe una presa di posizione forte della Federazione della Sinistra, per due motivi: il primo per ritornare ad essere il punto di riferimento dei lavoratori, secondo, non lasciare che questo punto di riferimento sia Bersani col PD (mi risulta molto difficile solo pensarlo) o la Lega, che riesce ad ottenere consensi solo perchè contrappone il lavoratore italiano a quello straniero.

Dopo Pomigliano, anche Mirafiori: bisogna fermarli! Il punto di vista dei Cobas

Dopo Pomigliano, anche Mirafiori: bisogna fermarli!

Agli operai e alle operaie era già chiaro: l’assalto alle condizioni di lavoro e di vita concordato, per Pomigliano, tra la Fiat e i sindacati a lei asserviti (Fim/Cisl, Uilm/Uil, Ugl, Fismic) era la prima mossa per far precipitare i metalmeccanici e tutti gli altri lavoratori in una situazione di schiavitù da 1800.

Così, due giorni prima di Natale, questi pescecani delle relazioni sindacali non hanno esitato a porgere i loro “auguri” ai lavoratori di Mirafiori (ridotti a 5.500 dai 55.000 che erano nel 1980!), firmando un accordo, il quale, dopo che per altri 18 mesi la fabbrica sarà andata avanti a forza di cassa integrazione, prevede dal luglio 2012 un autentico capestro, fatto non di uno ma di tanti nodi scorsoi:

* adozione di un sistema produttivo finalizzato all’abolizione dei “tempi morti”;


* taglio di 10 minuti del tempo complessivo di pausa, che passa da 40 a 30 minuti;


* facoltà per la direzione di spostare la mensa a fine turno;


* triplicazione dello straordinario obbligatorio, che passa da 40 a 120 ore annue;


* fino a 6 giorni lavorativi a settimana, con riposi a scorrimento e con 3 turni giornalieri di 8 ore l’uno (6-14, 14-22, 22-6), oppure con 2 turni giornalieri di 10 ore l’uno (6-16 e 20-6);


* a seconda dei casi, non retribuzione della prima o delle prime 2 giornate di malattia;


* sanzioni contro i lavoratori che scioperano;


* cessazione dell’attività di Fiat Mirafiori con licenziamento di tutti i lavoratori e costituzione di una nuova società con riassunzione solo di quelli che saranno disposti a firmare un contratto individuale basato su questo accordo.

Un accordo, che fa carta straccia di ogni precedente contratto collettivo, sia aziendale che nazionale, tant’è vero che la Fiat intende dare vita a un nuovo contratto collettivo, quello del settore auto, da allargare, magari, alle aziende dell’indotto.

Ma c’è dell’altro: l’accordo prevede anche l’abolizione delle RSU e la loro sostituzione con le RSA (Rappresentanze Sindacali Aziendali), non elette dai lavoratori, ma nominate dalle segreterie sindacali, con esclusione di quei sindacati, come Fiom/Cgil e Cobas, che respingono tutta questa mascalzonata sindacal-padronale.

Tra l’altro, questo punto sulla rappresentanza sindacale fa fuori, per quanto riguarda la Fiom, lo Statuto dei lavoratori, mentre le sanzioni contro gli scioperanti calpestano la Costituzione.

Intanto, è già partita la campagna terroristica della direzione: “O quest’accordo sarà approvato a gennaio dalla maggioranza dei lavoratori con un referendum, o la Fiat porterà all’estero lo stabilimento e il miliardo da investirci per ammodernarlo”. Insomma: o schiavi o disoccupati!

Questo, mentre i sindacati firmatari dell’accordo tentano ignobilmente di indorare la pillola, facendolo apparire come una specie di cuccagna, che aumenterebbe di migliaia di euro all’anno le retribuzioni.

Non dicono che se questo avverrà sarà dovuto agli straordinari e alle maggiorazioni per il lavoro notturno, di sabato, di domenica: fingono perfino d’ignorare che le bugie hanno le gambe corte!

Cosa fare in questa situazione? Di certo, non si devono ancora fare concessioni alle aziende (com’è successo in Magna) e non si può aspettare a scendere in lotta, intanto aziendalmente e poi nazionalmente e in modo generale, non solo come metalmeccanici, ma anche come insieme di categorie del lavoro dipendente, pubblico e privato.

In ballo, ci siamo tutti e tutte, come libertà e come diritti, come condizioni di lavoro e come modi di vivere, come tutela della nostra salute in fabbrica e della nostra dignità, come lavoratori e come cittadini, per il nostro presente e per il nostro futuro.

Aspettare vorrebbe dire farci calpestare, fare calpestare le aspettative dei nostri figli.

Cobas Lavoro Privato (comparto metalmeccanici)

Il nuovo ricatto di Mirafiori .

«È la firma della vergogna». Non si trattiene il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, a pochi minuti dalla chiusura dell'accordo a Mirafiori. Un altro senza i metalmeccanici della Cgil. «Non potevamo firmare - spiega - perché si cancella in una volta sola il contratto nazionale, lo Statuto dei lavoratori, le leggi che tutelano il lavoro. E vengono peggiorate le condizioni degli operai alle linee. È come Pomigliano, ma per alcuni versi un'intesa peggiore».

Cosa c'è di nuovo rispetto a Pomigliano? Perché parlate di attacco allo Statuto?
C'è un allegato all'accordo, il cui contenuto noi riteniamo gravissimo. Dice che solo chi è firmatario di questo accordo ha diritto alla rappresentanza sindacale. Cancellano il diritto dei lavoratori a eleggere liberamente le proprie Rsu, si torna indietro quasi alle Rsa nominate dall'alto, se non peggio. E qui sta l'attacco alla legge 300, lo Statuto dei lavoratori, che garantisce, come la Costituzione, il diritto e la possibilità di esercitare pienamente i diritti sindacali.

Praticamente è una norma scritta per far fuori voi, che non avete firmato. È un danno anche per le altre sigle?
Certo, oggi è scritta contro di noi, ma vorrei far riflettere tutti sulla portata storica di questa norma, soprattutto se passa nella fabbrica simbolo della Fiat. Praticamente si sta cambiando la natura delle organizzazioni confederali e delle relazioni industriali italiane, passando da un sindacato che rappresenta i lavoratori, a uno corporativo e aziendale, che fa da gendarme.

Peggiorano anche le condizioni di lavoro? Come?
Su quel piano siamo a una riedizione di Pomigliano, con qualche modifica. Pause ridotte, 120 ore di straordinario invece delle 40 da contratto, la possibilità per l'azienda di ordinare quando vuole le 10 ore sulla linea di montaggio, o di non retribuire le prime due giornate di malattia. Poi ci sono clausole e sanzioni contro i lavoratori che scioperano.

Gli altri sindacati dicono che le nuove condizioni vengono compensate da 3700 euro in più in busta ogni anno, che in tempi di crisi sono indubbiamente soldi.
Ma portare quei soldi a giustificazione, come se fossero una novità di questo accordo, è un assurdo. Sono esattamente i soldi acquisiti in tutti gli ultimi anni di contrattazione aziendale, come maggiorazioni del lavoro notturno, del sabato o della domenica. Dunque è chiaro se se aumentano i turni vengono fuori: su quello non c'è nulla di nuovo.

Con l'intesa la Fiat è uscita dal contratto nazionale?
Questo accordo diventerebbe l'unico contratto collettivo per Mirafiori, dunque sì. È il primo livello, non si fa riferimento ad altro. Vorrei capire come la vede Confindustria, con la Fiat che sta uscendo via via dall'associazione: Emma Marcegaglia non mi pareva convintissima della cosa fino solo a pochi giorni fa. Ma soprattutto, così saltano tutte le regole: è come se nella città di Torino si decidesse d'improvviso di non applicare più la Costituzione italiana.

A vostro parere si andrà nella stessa direzione a Melfi? E magari poi a Cassino?
A questo punto non escludo nulla. Voglio solo ricordare che qualcuno parlava di Pomigliano come «caso unico». E ora vediamo dove siamo.

Ma adesso voi cosa farete? Parteciperete al voto annunciato da Cisl e Uil, e che piace anche a Marchionne? Quello in cui chiede il consenso di almeno il 51%?
Qualsiasi referendum in queste condizioni, con il ricatto tra lavoro, investimenti e diritti, è illegittimo: lo diciamo ora, come lo abbiamo detto a Pomigliano. E anche se otterrà la maggioranza, non basterà a farci cambiare idea sull'accordo: tornando all'esempio di Torino, è come se si tenesse solo lì un referendum per farla uscire dall'Italia.

La Fiom chiede alla Cgil di indire lo sciopero generale. Ora immagino che la richiesta si farà più pressante.
Sicuramente si aggiunge un elemento non di poco conto: l'addio al contratto nazionale e allo Statuto dei lavoratori nel maggiore gruppo italiano. C'è la protesta degli studenti, il Collegato lavoro. Sulla Fiat, comunque, la Fiom aveva già deciso una giornata di mobilitazione per gennaio: dopo quest'accordo, è necessario fare di nuovo il punto.

Antonio Sciotto

tratto da Il Manifesto del 26 dicembre 2010

Oltre la narrazione: il nostro progetto Editoriale n. 21 della rivista “Essere comunisti”

Editoriale n. 21 della rivista “Essere comunisti”

Sono settimane cruciali. Il voto di fiducia strappato dal governo Berlusconi il 14 dicembre in entrambi i rami del Parlamento pone fine alla prima fase della crisi di governo.
Ma lungi dal delinearsi come una vittoria redentrice, dalla quale l’esecutivo possa uscire realmente rafforzato e con la concreta possibilità di allargare e mantenere fino a fine legislatura la base parlamentare della propria maggioranza, l’impressione netta che si ricava dalla triste vicenda della compravendita dei deputati è che un’intera stagione politica sia giunta al capolinea.
È evidente cioè che il “terzo polo” – sempre che si possa assegnare a questo termine il significato pieno di un’alleanza politica organica tra forze che ad oggi appaiono ancora divise – ha perso una battaglia, e una occasione ghiottissima. Tuttavia, l’ipotesi che, con la sfiducia respinta, il governo Berlusconi possa proseguire in sella come se niente fosse, con una maggioranza di 3 deputati e con il risentimento montante di metà Parlamento e di gran parte del Paese, appare l’ipotesi meno probabile.

Rimangono in campo diverse opzioni: Berlusconi potrebbe ora decidere, da una posizione di forza, di tornare al voto; oppure potrebbe condurre, direttamente o tramite altri, una transizione di centro-destra che abbia al centro la riforma della legge elettorale. Molti scenari sono cioè ancora aperti, compreso quello che vedrebbe lo stesso Berlusconi scegliere una soluzione di garanzia (come già fece nel 1995 all’indomani del “ribaltone”) per un governo di transizione allargato a nuove forze parlamentari disponibili.
Tuttavia, il voto del 14 – le contemporanee manifestazioni di piazza, che hanno messo in rilievo una partecipazione di popolo (in primo luogo studenti) a dir poco eccezionale – sembra, proprio per le modalità con le quali è maturato e per l’esiguità del vantaggio che consegna a Berlusconi, avere detto una parola chiara: siamo ad una svolta.
Lo ha capito prima di tutti (molti mesi prima di Gianfranco Fini) il Paese reale, così distante dai giochi di palazzo e dalle contraddizioni di potere, che ancora in queste settimane hanno riempito giornali e televisioni, fossero essi i resoconti delle serate mondane del presidente del Consiglio, oppure i dossier sulla salute e sui vizi delle classi dirigenti di mezzo mondo compilati dai funzionari delle Ambasciate e poi incredibilmente trafugati e pubblicati, tramite Wikileaks, in quello straordinario luogo di comunicazione e politica che è la rete.
Un Paese reale che negli ultimi quattro mesi, e pur in presenza di una sinistra divisa e fuori dal Parlamento, si è mobilitato. Il successo della raccolta delle firme in difesa dell’acqua pubblica, le lotte degli studenti e dei ricercatori contro i tagli e la contro-riforma dell’Università, la battaglia di Pomigliano, le lotte operaie contro le mille crisi aziendali, le lotte dei migranti per i diritti: tessere di un mosaico che indica, anche in Italia, che la storia non è finita e che il Paese non è né arreso né pacificato. Anzi: proprio nella cupezza di questa crisi di governo, trova la forza per moltiplicare la propria tensione trasformatrice e tenere vivo il conflitto sociale la cui chiave di volta sta nel 16 ottobre e cioè in quella straordinaria unità di lavoratori, migranti, donne, pensionati, intellettuali e studenti stretta intorno alla classe operaia metalmeccanica.
Il Paese reale si organizza e prepara un’alternativa dentro la crisi di un’economia risucchiata ormai da due anni organicamente dentro il vortice della decadenza occidentale capitalistica.
650 mila lavoratori in cassa integrazione a zero ore; la disoccupazione all’11%; i salari italiani ricacciati al peggiore valore reale degli ultimi undici anni, con un peso tra il 17% e il 19% più basso di quello medio europeo; la necessità paventata da molti di una nuova manovra correttiva a inizio anno, che già si profila come l’ennesima stangata per il lavoro dipendente e i conti delle famiglie proletarie.
E, contestualmente, uno stato di salute roseo per i conti delle grandi imprese, gli stipendi dei loro manager, i loro utili, come con tutta onestà mettono in evidenza i dati pubblicati recentemente dal Sole-24 ore (nell’anno 2009 i profitti delle 500 imprese più importanti sono aumentati del 335% con una tendenza identica per il 2010).
La crisi e la decadenza del capitalismo occidentale e, al suo interno, la crisi di quel centro-destra che solo due anni fa ha vinto le elezioni: questo è lo scenario nel quale si collocherà la nuova pagina della storia italiana che leggeremo nei prossimi mesi.
Si tratta però di contribuire alla sua scrittura, tenendo bene in mente ciò di cui Immanuel Wallerstein, intervenendo sul manifesto del 30 novembre scorso, ha avvertito con chiarezza estrema: la bocciatura di Obama alle elezioni di medio termine statunitensi (così come, potremmo dire, la bancarotta dei Paesi strutturalmente più fragili dell’Europa, come dimostra da ultimo il caso drammatico dell’Irlanda) dice della profonda difficoltà, in questa fase storica, di attuare politiche riformatrici nei Paesi a capitalismo avanzato.
D’altra parte, come ha scritto il 3 dicembre Alfonso Gianni (sempre sul manifesto) in relazione al nostro Continente, proprio sulla capacità di rifiutare i diktat monetaristi dell’Unione Europea, alimentando ulteriormente la crisi (il risanamento a tappe forzate del debito pubblico produce esattamente questo), si misura la possibilità di un futuro per la sinistra europea.
Quello che ci dicono Wallerstein e Gianni è forse il primo insegnamento da tenere in mente, ed incide immediatamente – con una certa dose di contraddittorietà che attiene proprio alle scelte sin qui compiute da una parte della sinistra italiana (a partire da Sinistra Ecologia Libertà) – sulla politica delle alleanze.
È per questa difficoltà strutturale di rovesciare, nell’Occidente capitalistico, le forme dell’economia dominante che il nostro progetto politico ha una discriminante introduttiva chiara: la necessità inderogabile di allearsi con le forze democratiche per sconfiggere elettoralmente, e in via definitiva, Berlusconi e il suo blocco di potere reazionario (Lega e Pdl sono a tutti gli effetti i rappresentanti delle peggiori istanze sociali del nostro Paese e di una cultura padronale, razzista, autoritaria e intimamente illiberale), prendendo atto che non ci sono le condizioni – oggi – per costruire un’alleanza di governo. La quale, come abbiamo visto anche con la recente esperienza del governo Prodi, nascerebbe debole e soprattutto sfavorevole per le forze che lavorano alla trasformazione del modello sociale proprio sul piano della capacità strutturale di realizzare autentiche riforme.
Altra cosa è invece, come andiamo ripetendo da mesi, provare a costruire un’intesa basata sulla difesa della democrazia, della Costituzione e su alcune misure di giustizia sociale. Ciò potrebbe costituire, anche sul piano dei contenuti, il cuore di un’alleanza politica con le forze moderate. In altre parole: non ci sono le condizioni storiche, strutturali e di fase per un accordo pieno di governo (e cioè per condividere, con qualche possibilità di successo, la responsabilità di gestire un’economia capitalistica in crisi inserita in un quadro di vincoli e di obblighi monetari e finanziari di stampo neo-liberista), ma possiamo lavorare per strappare alcuni impegni che comportino significativi benefici per le classi che vogliamo rappresentare.
Secondo elemento di riflessione: il quadro politico-istituzionale italiano è già mutato. Registriamo con soddisfazione la sconfitta definitiva del tentativo di costruire un sistema bipartitico, ma siamo in presenza anche di una forte crisi del modello bipolare. La nascita del “terzo polo” e ancor prima lo sfarinamento dei due blocchi palesano il fallimento dell’opzione bipolare e cioè, nei fatti, di quella tendenza ad espellere, con la cancellazione del proporzionale dal modello elettorale, le aggregazioni politiche “estreme” e, per quanto ci riguarda, le soggettività critiche e anti-sistemiche. Ciò significa che non solo si determina, d’ora in avanti e pur dentro non poche contraddizioni, un campo fertile per il ritorno al proporzionale, ma che si dà la possibilità di uno spazio politico di alternativa liberato dall’ossessione centrista implicita nel modello bipolare.
Possibilità potenziale, non certezza già conquistata.
Tutto dipende dalla volontà soggettiva delle forze che compongono questo campo dell’alternativa e dalle modalità con cui intendono determinarlo.
Per quanto riguarda la Federazione della Sinistra il progetto è delineato e, da questo punto di vista, è privo di ambiguità. Pur dentro alcuni limiti che non vanno assolutamente sottovalutati (il deficit di democrazia; i ritardi imposti da componenti ostili al processo unitario; i limiti nella relazione con le altre forze politiche della sinistra, come nel caso del ripetuto riaffiorare di pulsioni minoritarie e settarie), il congresso nazionale di Roma della Federazione della Sinistra ha indicato una prospettiva importante, che ruota attorno ad alcuni cardini.
Il primo: rilanciare a tutto campo un’offensiva unitaria – nelle forme prima ricordate – nei confronti delle forze democratiche.
Il secondo: ricostruire il campo della sinistra d’alternativa in autonomia dalla socialdemocrazia a partire dai contenuti e dalle lotte comuni.
Il terzo: rifondare, all’interno della sinistra, un soggetto politico organizzato comunista che ponga fine all’astrusa irrazionalità rappresentata dalla persistenza di due partiti comunisti entrambi votati, se divisi, alla mera testimonianza. Da questo punto di vista il congresso della Federazione ha registrato un passo avanti importante: non ha più alcun senso che dentro lo stesso soggetto politico (la Federazione non come cartello elettorale ma come soggetto federato a tutto tondo) esistano due distinti partiti comunisti. Con i tempi necessari, con modalità condivise, va avviato il processo che sappia riunificare il partito della Rifondazione comunista con quello dei Comunisti italiani. Ovviamente ciò non è in contraddizione con il rafforzamento della Federazione della Sinistra in quanto tale, anzi. Il campo di azione e di coinvolgimento della FdS è ben più ampio di quello di un partito comunista, poiché si propone di raccogliere al suo interno, sulla base di una comune opzione anticapitalista e di autonomia dal centro-sinistra, forze socialiste, ambientaliste e di movimento.
Questo per quanto concerne noi. Ma Sinistra Ecologia Libertà?
Sel si muove su un altro progetto. Cerco di evidenziare quelli che ritengo i limiti più significativi. Il primo è legato alla pressoché assoluta dipendenza di quel soggetto politico dalle fortune del suo leader. Sel è, oggi, un partito ampiamente dominato dalla figura e dal carisma personale del suo esponente più autorevole, con tutto quello che ciò comporta. È il partito di Nichi Vendola prima che dei suoi iscritti, del suo gruppo dirigente o della sua base elettorale.
Secondo limite: Sel gioca una partita che proprio nella sua spregiudicatezza porta il rischio dell’avventurismo. Si badi bene: è una tattica che ha incassato negli ultimi mesi una sequenza di successi invidiabile, come dimostrano i sondaggi e la vittoria di Pisapia a Milano, e che sembra non sia destinata ad arrestarsi visto che anche a Bologna la candidata della sinistra alle primarie di coalizione Amelia Frascaroli potrebbe prevalere sul candidato proposto dal Partito democratico.
Rimane, tuttavia, che la linea politica di Sel è troppo dipendente da variabili precarie: il voto a marzo, l’effettiva convocazione delle elezioni primarie (al contrario di quanto Bersani vorrebbe, sempre più preoccupato per la tenuta della sua “ditta”), la vittoria di Vendola in entrambe le consultazioni. Condizioni che, se pure fossero tutte e integralmente soddisfatte, non metterebbero lo stesso Vendola al riparo dai rischi strutturali cui accennavamo in precedenza (il caso di Obama e dello stesso Zapatero in Spagna dovrebbero indurre a maggior cautela). Si tratta, in altri termini, di scorciatoie che non porterebbero con ogni probabilità al punto di arrivo necessario ed evocato: fare prevalere l’«Italia migliore», raddrizzando il sistema economico e sociale.
Il terzo limite consegue a quanto sin qui osservato e concerne proprio la collocazione politica: l’internità al centrosinistra, l’intenzione ambiziosa di sparigliare le carte per ridefinire i confini e i contenuti del campo democratico, la valutazione secondo cui ormai non avrebbe più senso parlare di due sinistre (una di alternanza, l’altra di alternativa), entrano oggettivamente in collisione con le nostre previsioni e con il nostro investimento strategico.
Si delineano dunque, seppure con diversi gradi di chiarezza, due progetti differenti rispetto ai quali a nulla serve alzare una cortina fumogena che ottenebri i rispettivi assunti e i rispettivi obiettivi.
La sfida è un’altra: vincere le resistenze di chi vorrebbe continuare ad accontentarsi di due progetti non comunicanti e presuntamente autosufficienti e unire queste due opzioni a partire da ciò che già nella realtà politica e nella pratica sociale del Paese ha unito la Federazione della Sinistra e Sinistra Ecologia Libertà: la campagna sull’acqua pubblica, il 16 ottobre dei metalmeccanici, la lotta della cultura, della scuola, dell’università e della ricerca pubblica. Unirle in un patto d’unità d’azione che profili una sinistra plurale, dentro la quale ognuno persegua il proprio obiettivo ma con la consapevolezza di doversi mettere, per potere realmente cambiare i fragili equilibri della società italiana, al servizio di una causa comune che ha, come proprio le mobilitazioni di questi mesi dimostrano, un bacino di consensi ancora significativo.
In questo senso la Federazione della Sinistra è un embrione fecondo, perché contiene in nuce due progetti paralleli e al contempo complementari, entrambi necessari e indispensabili: la ricostruzione di un partito comunista forte e unito e la ricomposizione di un campo della sinistra d’alternativa egemonico e di massa.
O passiamo da qui, oppure la strada, proprio quando si intravede la fine dell’epoca berlusconiana, rischia di condurci altrove, lontano da quello che siamo e da quello che dobbiamo essere.

sabato 18 dicembre 2010

Wake up. Livorno alza la testa. Occupata la ex Caserma Del Fante .

Tratto da: www.senzasoste.it

Oggi 18 dicembre il gruppo precarie e precarie senza tetto ha occupato l'ex caserma del Fante in Via Adriana (fra via Palestro e via del Leone) a Livorno.
Abbiamo scelto questo luogo per il suo alto valore simbolico.
Nella nostra città, esistono decine e decine di spazi lasciati all'abbandono e al degrado dalla nostra amministrazione.
L'ex caserma, a differenza di quanto dichiarato dal sindaco, potrebbe essere riconvertita per scopi sociali. Basterebbe fare pressione e strutturare dei progetti per far si che la proprietà della caserma passi finalmente all'amministrazione comunale.
Con questo nostro gesto, esigiamo che il sindaco metta in pratica tutte le azioni possibili volte ad ottenere questo risultati in tempi brevi.
Inoltre vi sono altre numerose strutture come questa che vanno immediatamente sottratte alle mire speculative e restituite ai cittadini.
Il problema abitativo nella nostra città sta assumendo sempre di più connotazioni preoccupanti.
Gli sfratti per morosità sono arrivati ad oltre un migliaio. Con la crisi economica è sempre più difficile potersi permettere un affitto privato o un mutuo. La casa è un miraggio! Esiste un'intera generazione che non ha possibilità di accesso a nessuna graduatoria per le case popolari ne tanto meno permettersi di accedere all'affitto privato.
La panacea di tutti i mali secondo il sindaco dovrebbe essere l'affitto concordato. Tralasciando il fatto che ancora non esiste traccia di graduatorie di questo tipo (la solita propaganda?) è chiaro che questo strumento non sarebbe in grado di cambiare idealmente la situazione. In quanto è frutto di una impostazione che non prevede assolutamente la possibilità di assoggetare l'interesse privato a quello collettivo .
Inoltre qualche settimana fa il comune ha comunicato l'intenzione di vendere numerosi alloggi e strutture pubbliche.
Ci dicono che mancano i soldi ma i soldi ci sono! A livello nazionale sono stati spesi miliardi di euro per le missioni all'estero e per l'acquisto di nuovi armamenti. Ma per le caserme dismesse non è previsto ancora nessun progetto di riconversione, si sta forse aspettando la
prossima speculazione?

Noi non staremo di certo a guardare.Abbiamo deciso di riappropiarci direttamente di questo luogo utilizzando la pratica dell'occupazione e dell'azione diretta.
Siamo convinti che sia arrivato il tempo di svegliarsi e di dire basta. I professionisti della partecipazione, sindaco e partito democratico in testa, come sempre prendono in giro i cittadini ed i lavoratori con progetti di partecipazione inutili e costosi senza dedicarsi effettivamente all'interesse pubblico.Per quanto possa risultare loro strano gli interessi collettivi non potranno mai coincidere con quelli privati ne tanto meno con le loro mire speculative.

Questa iniziativa di due giorni avrà come momento centrale il dibattito, aperto a tutti e tutte, di domenica pomeriggio alle ore 15:00.
Inoltre nella giornata di sabato sarà fatto un volantinaggio informativo nel quartiere seguito da un aperitivo e da concerto + dj set, mentre alle 13:00 di domenica vi avrà luogo una braciata popolare.
PRECARI E PRECARIE SENZA TETTO

http://senzasoste.it/livorno/wake-up--livorno-alza-la-testa-occupata-la-ex-caserma-del-fante

mercoledì 15 dicembre 2010

Cina - Francescaglia: "Premio Nobel a Liu Xiaobo è oscenità"

Tratto dal sito dei Comunisti Italiani: http://www.comunisti-italiani.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=7092&mode=thread&order=0&thold=0

di Francesco Francescaglia, responsabile Esteri PdCI-FdS

In piena guerra valutaria mondiale, gli Usa vorrebbero continuare ad imporre al mondo le scelte a loro più convenienti, ma si scontrano con le resistenze della Cina, che chiede un governo delle monete e non è disposta a favorire una svalutazione competitiva del dollaro a discapito della Cina stessa e di tutte le economie dei paesi emergenti.



Gli Usa hanno alzato i toni, ma non ottengono i risultati sperati. In questo quadro è arrivato un utile aiuto da Oslo: il premio Nobel per la
pace a Liu Xiaobo è una formidabile arma di pressione contro Pechino. Che la commissione per il Nobel della pace (tutta politica: i 5 membri sono eletti dal Parlamento norvegese) sia un covo al soldo dei neoliberisti è ormai acclarato, ma stavolta hanno davvero esagerato. Bisogna leggere “Charta 08”, il documento redatto da Liu Xiaobo, per capire di cosa stiamo parlando.

In quel testo si afferma che “Lo shock dell’impatto occidentale sulla Cina nel diciannovesimo secolo ha messo a nudo un sistema autoritario decadente”. Insomma, il brutale colonialismo occidentale in Cina avviato con le guerre dell’oppio, avrebbe avuto il positivo effetto di disvelare la decadenza della Cina imperiale. La Cina, prima del “secolo delle umiliazioni”, cominciato nel 1840, con gli attacchi dell’Inghilterra, era la più grande e prospera economia del mondo; la fine dell’impero e la (tormentatissima) repubblica arrivarono solo nel 1911-1912. Il colonialismo in Cina fu una enorme tragedia (cui partecipò anche l’Italia), che portò sangue, povertà ed impedì l’autodeterminazione del popolo cinese.

C’è, però, un’altra affermazione ancor più incredibile nel testo di "Charta08", questa: “La sconfitta dei nazionalisti a opera dei comunisti durante la guerra civile spinse la nazione verso l’abisso del totalitarismo”. Liu Xiaobao si rammarica della sconfitta di fascisti nazionalisti di Chiang Kai-shek!!! Quelli che dopo aver massacrato i comunisti e portato il paese alla guerra civile con l’appoggio Usa, si rifugiarono a Taiwan dove instaurarono una lunga dittatura di destra.

Ricapitolando: parlare degli effetti positivi del colonialismo e piangere la sconfitta del fascismo porta dritti dritti al premio Nobel per la pace!!! Hanno ragione i cinesi: una vera oscenità.

martedì 14 dicembre 2010

Due colombe tornanano dal padrone; fiducia al governo anche alla Camera

Giornata di voti di fiducia quella che si è svolta oggi nei palazzi della politica a Roma.
Se al Senato il voto di fiducia al governo era scontato, era alla Camera che si giocava la partita più importante, quella della sopravvivenza (inutile ndr) di questo governo.
Ma un'attenta campagna acquisti (Berlusconi ha scambiato il Parlamento per il suo Milan) di deputati, e "il ripensamento" di due deputate di futuro e libertà (i soliti fascisti servi del potere, ndr) hanno permesso a questo governo di arrivare a mangiare il panettone anche quest'anno.
Il risultato finale è stato 314 voti a favore e 311 contrari.
Subito è partita la richiesta da parte dei deputati del pdl delle dimissioni del Presidente della Camera Fini.
A questo punto il governo è obbligato (ahinoi) ad andare avanti, ma bisogna vedere ancora per quanto.
Intanto Berlusconi ha già iniziato le "grandi manovre" per allargare la maggioranza in specialmodo all'udc.
Mentre nei palazzi della politica andava in scena il teatrino del voto, condito da continue risse tra parlamentari, nelle piazze di Roma e d'Italia è andata in scena la protesta di studenti, operai, cassaintegrati, terremotati abruzzesi e di tutte le persone contrarie e stufe di questo governo del non fare (o fare gli interessi prorpi).
Nel pomeriggio la protesta è sfociata in veri e propri scontri tra manifestanti e polizia.
Da sito di repubblica, la cronaca della giornata: http://www.repubblica.it/scuola/2010/12/14/dirette/cortei_roma-10170276/?ref=HREA-1

venerdì 10 dicembre 2010

Referendum acqua, via libera della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha comunicato oggi al Comitato Promotore dei Referendum per l'acqua pubblica, l'avvenuto conteggio delle firme necessarie alla richiesta dei referendum. Un passaggio scontato dopo la straordinaria raccolta firme che ha portato alla Corte, lo scorso luglio, 1 milione e 400 mila sottoscrizioni. Adesso tocca alla Corte Costituzionale dare il via libera ai quesiti entro la metà di febbraio, mentre la data del voto è prevista nella primavera 2011.

Con l'avvicinarsi del voto popolare si fa sempre più pressante la richiesta di moratoria sulle scadenze del Decreto Ronchi, almeno fino a quando gli italiani non i saranno espressi.

Quello della Cassazione è un altro passo avanti nel percorso referendario e nella battaglia per la ripubblicizzazione dei servizi idrici. Siamo sempre più vicini alla liberazione del bene comune acqua dalle logiche del mercato e del profitto.


Roma, 9 dicembre 2010


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Luca Faenzi
Ufficio Stampa Comitato Referendum Acqua Pubblica
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