martedì 28 luglio 2009

Allarme mare monstrum



di Letizia Gabaglio

Coste sommerse. Acque calde. E milioni di persone costrette a trasferirsi. I ricercatori ne sono certi: il futuro del Mediterraneo è pieno di rischi

Pensate al Delta del Nilo così com'è oggi: terreni fertili, località turistiche, città ricche di storia e tradizioni. E ora sforzatevi di immaginare come sarà alla fine del secolo se, come si stima, il mare si sarà alzato di un metro: un acquitrino immenso. Niente colture, nessun villaggio, zero turisti.

Non è un esercizio mentale fantasioso ma la previsione elaborata dalla Banca mondiale per questa zona del Mediterraneo, se il cambiamento climatico non venisse fermato. Secondo lo studio l'innalzamento di un metro colpirebbe circa sei milioni di persone, che sarebbero obbligate a trasferirsi altrove, e renderebbe inutilizzabile il 10 per cento delle terre. A correre questo rischio gli abitanti del Delta del Nilo non sono soli: le caratteristiche geomorfologiche del Mar Mediterraneo, infatti, sembrano poter accentuare gli effetti del riscaldamento globale.

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Sulla lista rossa ci sono, per esempio, le isole di Kerkean, Kneis e Djerba nel Golfo di Gabes in Tunisia: le loro coste sono già erose e l'innalzamento del mare le sommergerà. Un danno non indifferente anche dal punto di vista economico: il turismo di Djerba vale il 24 per cento dell'economia turistica tunisina. E anche se il mare le risparmiasse, l'inquinamento sta già sconvolgendo l'habitat che le ha sempre caratterizzate: le specie native di pesci e di alghe stanno scomparendo. Se ci spostiamo a nord, sulle coste spagnole, troviamo problemi simili: il delta del fiume Ebro, nel Golfo di Valencia, è a rischio inondazione, con le acque salate che minacciano quelle dolci, con conseguenze gravi sull'agricoltura e sulle riserve di acqua potabile.

Immaginare un innalzamento di un metro era fino a pochi anni fa impossibile, ma le ultime previsioni, pubblicate da un gruppo di ricerca coordinato dal Centro nazionale di oceanografia di Southampton (Nocs) alla fine di giugno su 'Nature Geosciences', stimano un innalzamento addirittura di 25 metri nei prossimi due millenni. Oltre tre volte più di quanto calcolato dall'International Panel on Climate Change (Ipcc), il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Così, ragionando sui prossimi 100 anni, sempre più esperti sono convinti che un metro sia ciò che ci si deve aspettare. Ma cosa succederebbe in Italia se il mare si alzasse così tanto? "Secondo i dati dei mareografi, il Mediterraneo è salito meno degli altri oceani: circa 11 centimetri negli ultimi cento anni, rispetto a una media di 18 centimetri", spiega Fabrizio Antonioli, paleoclimatologo dell'Enea. "Ma non è detto che questo sia un dato positivo sul lungo termine". Per immaginarci cosa succederà alla fine del secolo sulle coste italiane dobbiamo considerare, infatti, anche i movimenti tettonici a cui è soggetta tutta la penisola. Risultato: secondo le stime dell'Enea, potremmo perdere più di 4.500 chilometri quadrati di costa e 33 delle località che oggi siamo abituati a pensare come possibili luoghi di villeggiatura estiva potrebbero essere solo ricordi da cartolina. Qualche esempio: dalla piana della Versilia al delta del Po, dalla piana del Sele, in provincia di Salerno, alla costa di Oristano in Sardegna.


Il futuro del Mediterraneo preoccupa molto i climatologi che alle conseguenze del riscaldamento globale su questo delicato ecosistema stanno dedicando sempre più attenzioni. Ne è un esempio l'ultimo rapporto dell'Institut du développement durable et des relations internationales (Iddri) di Parigi, dal titolo 'The future of the Mediterranean. From impacts of climate change to adaptation issues'. Che lancia un avvertimento: nel 2075 chi farà il bagno lungo le coste mediterranee potrà contare su un'acqua fra i 2 e i 4 gradi centigradi più calda di oggi. In particolare, il Mar Adriatico e l'Egeo saranno quelli più caldi, mentre il bacino levantino avrà le acque più fresche. Il riscaldamento potrebbe portare alla creazione di grandi differenze di temperatura fra acque superficiali e di profondità, generando così un fenomeno di anossia: "Verrebbe meno il rimescolamento delle masse d'acqua, causando una mancanza di ossigeno su tutta la colonna", spiega Piero Lionello dell'Università del Salento, a capo della linea di ricerca sugli eventi estremi di Circe (Climate Change and Impact Research: the Mediterranean Environment), progetto europeo che studia l'impatto del cambiamento climatico sul Mediterraneo. Un evento che metterebbe a serio rischio la sopravvivenza delle specie vegetali e animali che popolano il Mediterraneo. D'altronde già oggi è possibile scorgere i segni del cambiamento in atto: meduse che amano climi particolarmente caldi sono arrivate dai tropici e anche il velenoso pesce palla sembra ormai essere perfettamente a suo agio nel Mediterraneo. Oltre all'invasione di specie, l'innalzamento delle temperature ha già portato, e lo farà sempre in misura maggiore, a una migrazione di pesci e molluschi che dalle acque del Nord Africa si sposteranno più a nord alla ricerca di un ambiente fresco. Finché sarà possibile.

Insomma, i paesi che si affacciano sul Mare Nostrum potrebbero davvero soffrire più degli altri del cambiamento climatico. Un esempio su tutti: le previsioni parlano di un innalzamento della temperatura dell'aria su scala globale che varia, a seconda del modello statistico usato, da più 1,1 C a più 6,4 C entro la fine del XXI secolo. Sul Mediterraneo questo aumento sarà superiore, da più 2 C a più 6,5 C. E se c'è qualcuno che pensa che in fondo si tratti di poca cosa, sarà bene ricordare che dalla temperatura media dell'ultima era glaciale ci separano al momento solo 5 C. A livello globale bastano davvero pochi gradi per cambiare la faccia del pianeta.

Ma c'è anche chi è convinto che non si dovrà aspettare la fine del secolo per vedere i grandi cambiamenti, perché allo stravolgimento del clima mancano solo pochi anni. Secondo alcuni ricercatori, già a partire dal 2030 si raggiungeranno quei fatidici 2 C in più della temperatura media dell'atmosfera che l'Ipcc ha decretato come limite oltre il quale deve scattare l'allarme. E a nulla varranno quindi i buoni propositi, appena sanciti dal G8 dell'Aquila, di non superare quel tetto entro il 2050. In particolare, un team internazionale di ricercatori, a cui ha partecipato anche Marco Bindi dell'Università di Firenze, ha puntato la sua attenzione proprio sul Mare Nostrum e ha calcolato che fra 20 anni avremo 30 giorni di più all'anno con una temperatura sopra i 25 C e 15 notti in più con il termometro che non scenderà sotto i 20 C. Lo studio, pubblicato sulla rivista 'Global and Planetary Change', descrive quindi il nostro prossimo futuro: ondate di calore più frequenti d'estate e autunni e inverni più piovosi e nevosi.

La catena di causa-effetto, infatti, parte dal riscaldamento dell'aria, passa per la temperatura della superficie dei mari, e arriva alla formazione di depressioni e anticicloni. Qualche grado di più o di meno, quindi, si trasforma anche in maggiori o minori precipitazioni. "I modelli dicono che andremo incontro a una diminuzione delle precipitazioni sul Mediterraneo", spiega Alexandre Magnan, uno dei ricercatori che ha lavorato al rapporto dell'Iddri. "Le ripercussioni le patiranno soprattutto le comunità meno sviluppate, perché l'accesso all'acqua potabile sarà sempre più difficile, ma ci saranno anche dei problemi per l'agricoltura". Una situazione che porterà a una diminuzione anche delle tempeste: "Con lo spostamento verso nord delle fasce normalmente percorse dai cicloni diminuirà la loro intensità e frequenza", spiega Lionello. La zona tropicale si allargherà verso nord e le perturbazioni atlantiche cambieranno percorso, così gli inverni diventeranno più piovosi che nevosi. E c'è anche chi, ma si tratta di un solo studio isolato, prevede che in futuro il clima del Mediterraneo si trasformerà tanto da favorire la formazione di uragani.

Ecco allora in vero problema: il Mediterraneo si trova oggi al confine fra le zone tropicali e quelle miti, con inverni in media piuttosto rigidi ed estati calde. Se questo confine però si spostasse di 500 chilometri, allora le cose cambierebbero radicalmente ma solo per le popolazioni che si affacciano su questo grande specchio di mare. Per il pianeta potrebbe anche non rappresentare un grande cambiamento ma per noi vorrebbe dire ritrovarsi a vivere ai tropici.

ha collaborato Caterina Visco


(23 luglio 2009)


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/allarme-mare-monstrum/2105132&ref=hpsp

TABELLE:

Specie in cattive acque

L'invasione degli alieni

IL GRAFICO:

Temperatura e salinità superficiali del mare

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