Articolo tratto da Repubblica.it
Arriva nella città dove nacque il partito la grande mostra di documenti, satira, grafica. Non solo feticci ma un approccio tecnologico con formati digitali touch screen e rivisitazioni grafiche
di LAURA MONTANARI
È come ritrovare un vecchio compagno che se ne è andato nei libri di storia. Falce e martello, pugni alzati, le bandiere rosse a sventolare sotto i palchi dei comizi. Come sfogliare un album quando a casa vengono i parenti: guarda qui Matteotti, l'attentato a Togliatti, l'Internazionale, ti ricordi l'Urss, Berlinguer e il compromesso storico, i grandi cortei della classe operaia e l'eurocomunismo? Per Livorno, sarà un po' come farsi ridare il cuore dopo un trapianto. Caro Pci, bentornato lì dove la storia è cominciata un giorno del gennaio del 1921 con Bordiga e i suoi che chiudevano la porta del teatro Goldoni lasciando dentro soltanto la componente socialista.
Le immagini della mostra
Foto e filmati, ma anche manifesti, spille e propaganda, documenti ripescati dagli archivi (in touch screen e comodi formati digitali), volantini ciclostilati e annunci del tipo "compagni e compagne...". C'è un pezzo di storia del Paese, ma anche una sezione del passato rosso della Toscana e di Livorno.
Una "costola" nuova, della mostra itinerante che ha debuttato a Roma qualche mese fa, a Livorno si arricchisce con i giornali comunisti stampati in città degli anni Cinquanta, le tessere delle militanti toscane dell'Udi (Unione donne italiane), i diari di chi dalle lontane sezioni di periferia commentava i fatti di Budapest e il Vietnam. Scavando nei ricordi, cercando negli scaffali, è riemerso anche un periodico della Fgci sul quale nei primi anni Ottanta, un giovanissimo Paolo Virzì firmava le recensioni cinematografiche. Questo lavoro di raccolta è stato possibile grazie alla collaborazione dell'Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea della Provincia di Livorno, dell'Istituto Gramsci toscano, del Comune e della Regione.
Si apre sabato 26 marzo (ore 16) ai Bottini dell´Olio (Livorno, viale Caprera) la mostra che resterà aperta fino al 10 aprile (ore 10-19 tutti i giorni, ingresso gratuito) "Avanti Popolo". Sottotitolo: il Pci nella storia d'Italia, settant'anni (1921-1991) di politica e ideali che attraversano il Paese, dalle lotte operaie e contadine del dopoguerra, alle paure degli anni di piombo e della strategia della tensione. Una sola strada da leggere in sei percorsi cronologici ideati e organizzati dalla Fondazione Istituto Gramsci e dalla Fondazione Centro studi di politica economica che detiene gli archivi del Pci. "Una sfida difficile" hanno scritto i curatori nella brochure. Infatti, a rendere il senso della complessità, ci sono i tanti linguaggi e le diverse letture del passato, comprese quelle degli avversari.
Da Livorno a Rimini, dalla nascita allo scioglimento, dopo la caduta del muro di Berlino. In mezzo un itinerario di idee e di speranze su una maggiore uguaglianza sociale, ma anche di rigide discipline ideologiche. In una sezione i cimeli, in un'altra i comunisti di carta con le vignette di Altan e Staino e per protagonisti Cipputi e Bobo, una riservata alla grafica dove 34 designer interpretano la storia del Pci.
"La storia di un partito" ha scritto Gramsci nei Quaderni del carcere, è "la storia del suo Paese da un punto di vista monografico". A tenere insieme ogni fase, ogni mese, ogni anno, le facce nelle piazze, le mani segnate dal lavoro, le tute blu dietro gli striscioni, le feste dell'Unità, le foto e le immagini che dal bianco e nero diventano a colori. Forse diceva bene Gaber, "qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona" (in mostra c'è pure la storica foto del leader preso in braccio da Roberto Benigni), o "qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana" o perché "era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio", o "perché forse era solo una forza, un volo, un sogno. Era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita".
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